Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 22/04/2015
Fatto
L.G. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che confermando quella di primo grado lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore C.L., in data 20.12.2001] e lo ha condannato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 600,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
La Corte di merito, ripercorrendo gli argomenti già sviluppati in primo grado, individuava i profili di colpa del L.G., quale datore di lavoro, presso il quale il C.L. lavorava in nero, oltre che in quella generica, nell'avere omesso di portare a conoscenza del lavoratore le situazioni di pericolo esistenti sul luogo di lavoro (art. 49 d.Lvo 626/94, allora vigente), nella mancata adozione di misure atte ad evitare, o comunque ridurre, i rischi per la salute conseguenti alla movimentazione dei carichi, per i quali elevato era il rischio di cadute, considerato l'inadeguato bloccaggio dei pannelli di legno.
Il giudice di appello, innanzitutto, disattendeva la tesi difensiva secondo la quale il C.L. non sarebbe stato alle dipendenze del L.G., sottolineando le modalità dell'infortunio ( verificatosi alle ore 7 di una domenica mattina, in una zona del laboratorio incompatibile con il preteso hobby delle piccole cornici e durante la movimentazione di un grosso pannello di legno ) e la circostanza della denuncia di infortunio redatta dal L.G..
La Corte territoriale escludeva altresì la configurabilità della condotta abnorme del lavoratore, prospettata dalla difesa, valorizzando il dato incontestabile, alla luce delle dichiarazioni della parte offesa, dell'ispettore del lavoro e del fratello dello stesso imputato, che la mattina dell'infortunio il C.L. stava eseguendo una movimentazione di un pannello di legno, rientrante nelle mansioni lavorative che gli erano proprie.
Con il ricorso si eccepisce in via preliminare la mancata notifica al difensore costituito dell'avviso di udienza per il giudizio di appello sostenendo che la notifica a mezzo posta non poteva ritenersi perfezionata con l'avviso di compiuta giacenza, con la conseguente nullità della sentenza.
Con lo stesso motivo si lamenta il mancato accoglimento della richiesta di rinvio per legittimo impedimento del difensore di fiducia impegnato in altra udienza.
Con il secondo motivo si lamenta la manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità
Si sostiene anche in questa sede la mancanza di prove in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro tra l'imputato ed il lavoratore, che si sarebbe recato di sua iniziativa e del tutto imprevedibilmente in falegnameria
Si sostiene, ancora, una volta la mancanza di responsabilità dell'imputato, dal momento che il fatto si sarebbe verificato per " caso fortuito", ovvero per un comportamento abnorme del C.L., il quale di sua iniziativa- e da solo- avrebbe preteso di rimuovere un pesante pannello di legno, provocando in tal modo la caduta di tutti gli altri.
Diritto
In via preliminare deve darsi atto che nelle more del giudizio di cassazione, successivamente alla sentenza impugnata, il reato si è prescritto.
Ciò non esclude che debba esaminarsi l'eventuale fondatezza del ricorso, anche laddove evoca un difetto di motivazione della sentenza gravata, essendovi le statuizioni civili su cui occorre provvedere, onde l'auspicato [dal ricorrente] proscioglimento nel merito dovrebbe essere adottato ex articolo 129, comma 2, c.p.p., per il principio del favor rei, anche allorquando si vertesse in ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova della responsabilità (cfr. Sezioni unite, 28 maggio 2009, Tettamanti).
Ciò premesso, il ricorso è infondato.
Quanto alla prima eccezione di carattere processuale, va rilevato in fatto che il decreto di fissazione dell'udienza 25.9.2009 è stato consegnato per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell'art. 170 c.p.p. , per essere inviata con lettera raccomandata n. Omissis al difensore di fiducia dell'imputato; egualmente risulta dagli atti che l'agente postale incaricato di eseguire la predetta notificazione, non avendo rinvenuto il destinatario all'indirizzo, ha immesso in cassetta il predetto avviso e provveduto ex art. 8, comma 2, legge n. 890 del 1982, a redigere a mezzo lettera raccomandata n.Omissis, ritualmente indirizzata al medesimo destinatario, con avviso di ricevimento l'apposita informativa del tentativo di notificazione e del fatto che il plico in questione era stato depositato presso l'Ufficio postale, ove poteva essere ritirato, e del fatto che, decorsi 10 giorni dalla predetta informativa, la notificazione doveva intendersi perfezionata.
Esattamente è stato, pertanto, ritenuta eseguita la notificazione trascorsi dieci giorni dalla data del deposito dell'atto da notificare presso l'Ufficio postale.
Risulta pertanto rispettato il principio secondo il quale in tema di notifiche a mezzo posta, nel caso di mancata consegna del plico, ai fini della operatività della presunzione di conoscenza dell'atto trascorsi dieci giorni dalla data del deposito presso l'Ufficio postale, è necessario che la comunicazione dell'avviso di giacenza sia formalmente indirizzata al destinatario dell'atto da notificare ( v. Sezione III, 3 dicembre 2012, Buono, rv. 258016).
Anche l'altra censura processuale è infondata.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte ( v. Sezione VI, 18 novembre 2003, Levante, rv. 228598 ) la concomitanza dell'impegno professionale assunto dal difensore in un altro procedimento può essere riconosciuto quale legittimo impedimento a comparire all'udienza, quando il difensore dimostri non solo l'esistenza dell'impegno, ma anche le ragioni che rendono indispensabile l'espletamento delle funzioni difensive in tale procedimento; tali ragioni debbono essere correlate alla particolarità dell'attività da presenziare, alla mancanza od assenza di un altro codifensore ed all'impossibilità di avvalersi di un sostituto - ai sensi dell'art. 102 c.p.p.- sia nel procedimento al quale il difensore intende partecipare, sia in quello del quale si chiede il rinvio per assoluta impossibilità a comparire
E' stato altresì affermato ( v. Sezioni unite, 28 febbraio 2006, Grassia, rv. 232905 ) che, nel caso di istanza di rinvio per concomitante impegno professionale del difensore, spetta al giudice effettuare una valutazione comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se sia effettivamente prevalente l'impegno privilegiato dal difensore per le ragioni rappresentate nell'istanza e da riferire alla particolare natura dell'attività cui occorre presenziare, alla mancanza o assenza di un codifensore nonché all'impossibilità di avvalersi di un sostituto a norma dell'art. 102 c.p.p.
L'ordinanza con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di rinvio è coerente ai principi sopra indicati laddove il giudicante, oltre ad evidenziare l'intempestività dell'istanza e l'imminenza della prescrizione del reato, ha rilevato la mancanza della relativa documentazione.
Infondate sono anche le censure sul giudizio di responsabilità.
A fronte di una duplice statuizione di condanna si articolano doglianze essenzialmente di merito in ordine all'apprezzamento del compendio probatorio, prospettando censure in diritto del tutto insussistenti.
La Corte territoriale ha ampiamente spiegato il confermato giudizio di responsabilità, soffermandosi, come sopra evidenziato, sulla sussistenza del rapporto di lavoro tra l'imputato ed il C.L., escludendo con motivazione logica e conforme ai principi di questa Corte la condotta abnorme del lavoratore.
Non ragionevolmente prospettabile è il tema della abnormità della condotta del lavoratore rispetto ad un'attività ( lo spostamento di un pannello di legno) certamente rientrante nella mansioni lavorative spettanti al C.L..
Basta ricordare, con riflessi qui di immediato rilievo, che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, per quanto detto sull'omessa informazione del lavoratore sulle situazioni di pericolo esistenti sul luogo di lavoro quanto alla presenza e movimentazione dei carichi, per l'elevato rischio di cadute degli stessi, considerato l'inadeguato bloccaggio dei pannelli di legno (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D'Acquisto).
Con l'ulteriore rilievo che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento imprudente del lavoratore infortunato realizzato nello svolgimento delle proprie mansioni e utilizzando gli strumenti di lavoro (ciò che qui è parimenti non revocabile in dubbio) (Sezione feriale, 12 agosto 2010, Mazzei ed altri).
Si impone, in conclusione, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili in favore della costituita parte civile.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Così deciso in data 22 aprile 2015